mercoledì 1 gennaio 2014

"intanto scrivilo che poi sicuramente lo pubblichiamo!" Akira e altri demoni.


Matteo Stefanelli, tramite l'amica Federica, ha chiesto a disegnatori vari cui Akira ha cambiato la vita o quasi, un articolo sullo stesso Akira. Ora non so mai se verrà pubblicato. Non mi pongo manco troppe domande su cosa venga pubblicato, cosa no, perché e per come. Considero solo il fatto che la vita sia un mozzico e bisogna provare a fare cose belle. Rivedere, scrivere e omaggiare Akira è sempre bello, quindi, intanto, lo abbiamo fatto. Un po' come i muratori che fanno le strutture per il giubileo a Roma e in varie parti d'Italia. Cose che poi rimangono ferme per intere ere geologiche. Quindi, nel frattempo, lo metto qui, et voilà!

Nel 1993 non c'erano cellulari, non c'era internet, le videocassette erano poche e comunque non avevo il video registratore. Mi vedevo i cartoni come tutti, ma guardavo tutto con la purezza dedicata a “Elliot il Drago Invisibile”Nel 1993, a tredici anni, vidi “Akira”.
Mio fratello portò me e un mio amico in un cinema lontanissimo sulla Laurentina a due metro, due autobus e due ore da casa mia. In sala eravamo in 10, noi e un gruppetto di motociclisti. Avevamo il numero minimo per la proiezione e il film partì. La mia vita cambiò e il mio immaginario sterzò. Akira era arrivato e fu incredibile. La potenza del film fu guarnita da un paio di episodi interessanti:
- Le urla dei motociclisti alla vista di una moto con la retromarcia.
- Le urla dei motociclisti alla vista della distruzione di una moto con la retromarcia.
I motociclisti che sulla frase finale del film “io sono...TETSUO!” urlarono un sonoro “EeeeSticazzi!”. Un grande ingranaggio si era messo in funzione, ne avremmo gioito in tanti. Il Manga già girava in casa mia e presto arrivarono, dello stesso autore, anche “Sogni di Bambini” (ambientato al Serpentone) e “Memorie”, volume di storie brevi zeppo di citazioni tra cui una ormai celebre di M.C. EscherTornando a Katsuhiro Otomo, non so neanche che faccia abbia. Non mi è mai venuta l'idea di cercare una sua foto. Forse perché, ai tempi in cui mi sono impresso indelebilmente in mente le sue opere, sui manga, stampati spesso a cazzo, arrivavano delle infelici foto in bianco e nero. La mia priorità era concentrarmi sui disegni. E' indice del mio gradimento il fatto che poco tempo dopo aver visto Akira, mi compravo, con parecchi danari, (proprio tanti): “KABA”, un bellissimo volume di illustrazioni. Alla fiera di Bologna, poi, lottai come un vietcong per una copia dell'introvabile “Akira Club edizione deluxe”, con cartoline IN RILIEVO!!! Nello stesso momento, Igort parlava e rideva con i suoi amici della Kodansha, mentre io avevo il volto contratto dal pensiero di riuscire a prendere quel libro. Lui si voltava, rideva, e ci guardava con disgusto. Eravamo in tanti in fila. Un giornalista ha detto “No Akira, No Matrix”. Quello che posso dire io è che quando cominciavo a disegnare con idee serie, da “Lamù”, alle convention, ce se vestivano solo le ciccione. Adesso le Lamù e tutti i cosplayers si sono evoluti e il merito è anche del signor Otomo e della lungimiranza ed influenza delle sue opere. Lunga vita ad AkiraCon amore, Lucio Villani.
p.s.
Se leggendo Otomo vi vien da pensare che disegnare palazzi e prospettive sia facile, non vi preoccupate, lo fa con tutti. p.p.s. Qualche tempo fa in un negozio vendevano 6 copie di “Memorie” perfette, fondo di magazzino a 3 euro l'una. I 18 euro meglio spesi degli ultimi anni. Le ho regalate quasi tutte. p.p.p.s. Riletto in età adulta, Akira (come Maus, l'Incal, Batman anno uno, l'Orlando Furioso di Pino Zac etc...) genera sempre la riflessione: “...”.
p.p.p.p.s. Ai tempi, quasi nessuno ci ascoltò quando urlammo a gran voce che Otomo non aveva nulla da invidiare a Moebius e a Spiegelman etc... Anzi, la reazione alle nostre parole era tipo riunione di condominio di Fantozzi. Ora, per fortuna, ci chiamano a casa per renderci partecipi della loro ultima e incredibile scoperta.

Roberto Ciotti - 1953 / 2013

Un mio amico, molto tempo fa, mi disse "presto, chiama questo numero, Roberto Ciotti cerca un contrabbassista!". Io immantinente lo chiamai e fissammo una prova in una casa piena di dischi e con un pianoforte trasparente di plexiglass. Al tempo suonavo da poco e la timidezza faceva il resto. Provammo un paio di blues, poi mi disse: "adesso proviamo questo pezzo", e io "non lo conosco" e lui: "ma come?! è un pezzo mio!". Poi disse, "e questo? lo conosci?" e io, arrossendo, "no". Insomma, dopo altre 4 richieste fu chiaro che non conoscevo neanche un suo brano. Roberto Ciotti lo avevo solo visto una volta in concerto, di lui non sapevo nient'altro. Alla fine della prova mi disse: "lascia perde, faccio senza contrabbasso! voi un caffè? ah no, non ce l'ho!". Aveva vinto Ciotti e io tornai a casa. Non credo che me lo scorderò mai, alla fine ridemmo. Tempo dopo, durante un concerto dei Red Wagons, lo invitammo sul palco a fare qualche brano. Dopo il concerto gli chiesi se si ricordasse di me e lui "sì sì sei quello che non sa i miei brani!". Ridemmo ancora. Il 2013 viene chiuso, per me, dalla notizia della sua morte e dal sollievo che non stia più male. Condivido il dispiacere di molti amici che collaboravano con lui e per i quali deve essere stato qualcosa come uno zio dalla chitarra e dalla battuta pronta.
p.s.
una frase su tutte, però, del Ciotti nazionale, va citata. Credo sia stata detta a Marco Meucci, pianista dei Red Wagons, qualche era geologica fa."ma io ho capito che musica fai te, la facevo pure io venti anni fa sta roba! Io ero come te! Però poi, io me so evoluto!"
Se Elvis è tornato a casa, Roberto non si è certo fermato all'autogrill.
Applausi, dissolvenza, buio.